mercoledì, 19 giugno 2024 | 09:36

Entrate: la soccida semplice e monetizzata

Forniti chiarimenti sul trattamento ai fini IVA e delle imposte dirette della soccida semplice e monetizzata (AdE - risposta 18 giugno 2024, n. 134)

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Entrate: la soccida semplice e monetizzata

Forniti chiarimenti sul trattamento ai fini IVA e delle imposte dirette della soccida semplice e monetizzata (AdE - risposta 18 giugno 2024, n. 134)

Nel caso di specie, la Società istante riferisce di:

- avere per oggetto esclusivo l'allevamento e l'ingrasso di bestiame oltre che la conduzione di fondi agricoli;

- rivestire, avendone i necessari requisiti soggettivi e oggettivi, la qualifica di imprenditore agricolo.

La Società rappresenta altresì di aver sottoscritto, con decorrenza 1° aprile 2024 e per una durata indeterminata, un contratto di soccida non monetizzata con una S.r.l. per l'allevamento di vitelli da ingrasso, nell'ambito del quale quest'ultima riveste la qualifica di soccidario mentre l'Istante quella di soccidante. Alla fine di ogni ciclo, la Società acquista dal Soccidario la quota di accrescimento a quest'ultima destinata per poi rivenderla direttamente al macello.

Con riferimento al prospettato contratto, il Soccidante chiede quale sia il corretto trattamento ai fini delle imposte dirette e dell'IVA dell'operazione di vendita degli animali dalla stessa acquistati dal Soccidario, ovvero, quindi, della rivendita da parte del soccidante della quota di accrescimento spettante al soccidario e da questi cedutagli.

Nell'istanza il Soccidario menziona un contratto di "soccida NON monetizzata". Dal contratto esibito a seguito di richiesta di documentazione integrativa, è possibile desumere che con tale locuzione, si riferisca in realtà alla soccida semplice (art. 2170, e seguenti, cc).

In recenti sentenze, intervenendo sulla nozione e acquisizione dello status di imprenditore agricolo a seguito della stipula di un contratto di soccida, sia fini civili che fiscali, la Corte di Cassazione chiarisce che il contratto di soccida si configura quale contratto agrario di tipo associativo per l'esercizio dell'attività di allevamento sicchè, ai sensi dell'art. 2135, cod. civ., lo stesso dà luogo ad un'impresa agricola associata, di cui sono contitolari, sebbene con obbligazioni e funzioni diverse, sia il soccidante che il soccidario. Ne consegue che, essendo entrambi imprenditori agricoli, sulla cessione dei prodotti di cui alla tabella A, parte I, allegata al d.P.R. n. 633/1972, derivanti dal comune esercizio dell'impresa di allevamento, sia il soccidante che il soccidario possono avvalersi del regime speciale di detrazione dell'Iva di cui all'art. 34 del Decreto IVA.

Ai fini dell'Imposta sul Valore Aggiunto, questi principi non sembrano avere portata innovativa rispetto alla prassi dell'Amministrazione finanziaria, sebbene questa sia risalente nel tempo.

La citata prassi si è pronunciata in modo conforme, rendendo noti i principi interpretativi di ordine generale che regolano la soccida, i quali pertanto non appaiono smentiti dalle recenti pronunce della Cassazione. In particolare, confermando le conclusioni della circolare 27 aprile 1973, n. 32, parte VII, la circolare 9 febbraio 1995, n. 48 riafferma quanto segue:

1. la fase costitutiva e quella estintiva della soccida semplice non rappresentano fattispecie a carattere traslativo (artt.  2171, co. 2, e 2181 cc). Identica affermazione può farsi relativamente alla fase estintiva del menzionato rapporto contrattuale. Ed invero, per quanto riguarda la soccida semplice, il soccidante preleva, al termine della stessa, un complesso di capi che per numero, razza, sesso, peso e quantità siano corrispondenti al bestiame originariamente apportato (art. 2181 c. c.), in pratica riassumendo la materiale disponibilità del proprio bestiame inizialmente conferito. Si tratta dunque di operazioni fuori campo IVA;

2. la divisione dell'accrescimento è un atto dichiarativo dell'acquisto originario degli stessi, che altro non sono che una fruttificazione del diritto di proprietà del bestiame oggetto del contratto di soccida e dunque anch'esso fuori campo IVA.

3. sia il conferimento che la divisione del bestiame, pur essendo atti non assoggettati ad IVA, non precludono la detrazione forfetizzata per le successive cessioni.


In merito alle cessioni aventi a oggetto i frutti dell'allevamento, la prassi valuta (circolare n. 32 del 1973 e la risoluzione n. 504929):

1. sia l'ipotesi in cui il soccidante e il soccidario vendono direttamente detti frutti, previa ripartizione dell'accrescimento,

2. sia quella in cui è il solo soccidante a provvedere alla vendita dell'intero accrescimento, impegnandosi a corrispondere al soccidario la sua quota, anche in via anticipata.

Nel primo caso, entrambi effettuano delle cessioni rilevanti ai fini IVA, mentre nel secondo caso è solo il soccidante a effettuare una siffatta cessione e la somma in denaro spettante al soccidario è corrisposta dal soccidante a titolo di ripartizione dei frutti ovvero del prezzo ricavato dalla vendita dei frutti stessi: tale somma va pertanto considerata come ''spettante al soccidario a titolo di assegnazione, e pertanto non soggetto ad imposta sul valore aggiunto.

Nel secondo caso di cui sopra si è in presenza di una c.d. soccida monetizzata.

Inoltre, l'Agenzia evidenzia che la volontà di costituire una soccida non monetizzata (rectius soccida semplice) deve trovare riscontro nel relativo contratto, nelle scritture contabili ma soprattutto nel concreto comportamento tenuto dalle parti in sede di esecuzione del contratto. Oltre alla stima iniziale, a tal fine assumono particolare importanza la valutazione e la divisione dell'accrescimento, che devono concretamente avvenire nella realtà. In altri termini, la vendita della quota di accrescimento da parte del soccidario, a favore dell'Istante e/o di un terzo, ancorchè fatturata, non può da sola suffragare l'esistenza di una soccida semplice quando la stima e la divisione dell'accrescimento - sebbene previste contrattualmente - non sono mai avvenute nella realtà e non trovano riscontro nelle relative scritture contabili, unitamente ai relativi criteri di individuazione, ripartizione, valutazione e prelevamento (es. verbale di inizio e fine ciclo, regolare tenuta del registro di carico e scarico).


Ai fini delle imposte dirette, in materia di redditi agrari, la semplice conservazione, commercializzazione e valorizzazione, considerate autonomamente, non possono mai dar luogo ad attività connesse. Le attività di conservazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli rientrano senz'altro nell'ambito di applicazione dell'articolo 32 del TUIR quando riguardano prodotti propri, ma nel caso in cui l'attività di conservazione, commercializzazione e valorizzazione abbia ad oggetto prodotti agricoli acquistati da terzi, dette attività non possono essere assoggettate al regime di determinazione del reddito previsto all'art. 32 del TUIR.Quando tali attività non sono esercitate congiuntamente ad un processo di manipolazione o trasformazione viene a mancare ogni connessione con l'attività agricola principale, con la conseguenza che da ''tali attività'' conseguono redditi da determinarsi analiticamente secondo le ordinarie disposizioni in tema di redditi d'impresa ex art. 56 del TUIR (AdE - circolare n. 44/E del 15 novembre 2004).

Ciò posto, occorre ricordare che la formulazione del quesito deve ritenersi limitata, ai fini delle imposte dirette, alla rivendita da parte dell'Istante esclusivamente della quota di accrescimento spettante al soccidario, e presuppone che, prima della sua rivendita, tale quota di accrescimento di spettanza della S.r.l. (ossia, la quota degli animali che a quest'ultima spettano all'esito dell'attività svolta nell'ambito del rapporto di soccida) venga acquistata dall'Istante (previa naturalmente la determinazione e la ripartizione dell'accrescimento tra soccidante e soccidario).

In relazione a tali aspetti, l'Agenzia evidenzia che, secondo la prospettazione contenuta nell'istanza, a detto acquisto non fa (e non farà) seguito, da parte dell'Istante, lo svolgimento di alcuna attività sulla Quota di Accrescimento poichè detto acquisto appare finalizzato - in mancanza di indicazioni contrarie - alla mera rivendita della stessa.

Considerato quanto affermato nella circolare n. 44/E citata e in assenza, da parte dell'Istante, dello svolgimento di alcuna attività (diversa dalla ricordata rivendita) sulla Quota di Accrescimento (acquistata da Beta S.r.l.), in linea di principio, l'attività di commercializzazione di detta Quota non può essere assoggettata al regime di determinazione del reddito previsto dall'articolo 32 del TUIR.

Da ciò consegue - nei limiti del quesito posto come sopra individuati - che la rivendita della Quota di Accrescimento (acquistata dall'Istante al termine del contratto di soccida) non darà luogo, in capo all'Istante, a redditi agrari ai sensi dell'articolo 32 del TUIR, ma a redditi da determinarsi analiticamente secondo le ordinarie disposizioni in tema di redditi d'impresa contenute nell'articolo 56 del TUIR.

di Anna Russo

Fonte normativa