giovedì, 25 luglio 2024 | 12:23

Cassazione: l'ASD non ha titolo per l'applicazione dei regimi fiscali agevolativi

Il rispetto delle prescrizioni formali costituisce condizione per l'associazione sportiva dilettantistica per fruire delle agevolazioni tributarie previste per gli enti di tipo associativo non commerciale (Cassazione - sentenza 16 luglio 2024 n. 19558, sez. trib.)

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Cassazione: l'ASD non ha titolo per l'applicazione dei regimi fiscali agevolativi

Il rispetto delle prescrizioni formali costituisce condizione per l'associazione sportiva dilettantistica per fruire delle agevolazioni tributarie previste per gli enti di tipo associativo non commerciale (Cassazione - sentenza 16 luglio 2024 n. 19558, sez. trib.)

Nella fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione è stato riscontrato che un'Associazione Sportiva Dilettantistica non aveva titolo per l'applicazione dei regimi fiscali agevolativi previsti per le associazioni in questione, in quanto era stato violato il divieto posto dall'art. 90, co. 18-bis, L 27 dicembre 2002 n. 289, che prevede che gli amministratori di associazioni sportive dilettantistiche non possano ricoprire cariche presso altre associazioni dilettantistiche della medesima federazione sportiva o della medesima disciplina. L'Ufficio, inoltre, riscontrava l'assenza del requisito della democraticità e della partecipazione dei soci ordinari alla vita sociale dell'associazione.

In particolare, a seguito di questa verifica l'Agenzia delle Entrate, notificava al legale rappresentante dell'Associazione Sportiva Dilettantistica Proforma, un'atto di contestazione, con il quale, irrogava alla suddetta associazione sportiva una sanzione per omessa tenuta e conservazione delle scritture contabili, omesso versamento di ritenute ed omessa indicazione di n. 3 percipienti nella dichiarazione dei sostituti d'imposta, e avviso di accertamento, con cui richiedeva altresì il pagamento a titolo di sanzioni per l'omessa presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta (Mod. 770) e la mancata effettuazione delle ritenute d'acconto.

Avverso tali atti, il legale rappresentante dell'Associazione Sportiva Dilettantistica proponeva ricorso dinanzi alla CTP, la quale accoglieva il ricorso, ritenendo, anche sulla base di decisioni assunte dalla stessa Commissione in giudizi vertenti sui medesimi fatti per annualità diverse, che l'associazione in questione avesse natura dilettantistica e non commerciale.

Interposto gravame dall'Ufficio, la CTR lo accoglieva, condannando il soccombente al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il legale dell'associazione stessa, sulla base di sette motivi:

- con il primo motivo di ricorso, il contribuente eccepisce violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato. Deduce, in particolare, che la CTR non si sarebbe pronunciata sull'eccezione di inammissibilità dell'appello riguardante la sottoscrizione dell'atto di appello da persona diversa dal Direttore dell'Ufficio, di cui non sarebbe stata allegata in giudizio copia della specifica delega richiesta;

- con il secondo motivo di ricorso, secondo il ricorrente, in caso di rettifica della dichiarazione dei redditi delle associazioni di cui all'art. 5, DPR 22 dicembre 1986 n. 917 , l'imputazione dei redditi riscontrati si estende automaticamente a tutti i soci, con la conseguenza che, se viene proposto ricorso anche da uno soltanto dei soci, tutti gli altri dovrebbero essere chiamati in causa, perchè la decisione non può essere assunta solo nei confronti di alcuni tra essi. Nel caso di specie, tuttavia, nonostante la CTR avesse rilevato la presenza di altri due soci, cioè la moglie e il figlio, non avrebbe comunque disposto la riunione delle altre controversie avviate separatamente dallo stesso ricorrente e da uno dei due soci, e non avrebbe disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro socio, rimasta estranea al giudizio;

- con il terzo motivo di ricorso, la CTR avrebbe considerato il rappresentante legale dell'associazione sulla base della dichiarazione dallo stesso effettuata nel corso della verifica fiscale, e sulla base della circostanza temporale per cui solo in un periodo particolare veniva comunicato il subentro dell'altro socio. Al contrario, secondo il ricorrente, una corretta interpretazione dell'art. 36 cod. civ. avrebbe portato al riscontro della legittimazione passiva soltanto in capo a coloro ai quali, secondo gli accordi intercorsi, era stata conferita la Presidenza o la Direzione, il cui conferimento deve risultare da apposito verbale del Consiglio Direttivo e/o dell'Assemblea dei soci, infatti, sarebbe stato solo segretario dell'associazione e non legale rappresentante;

- con il quarto motivo di ricorso, la CTR avrebbe errato nel riconoscere lo svolgimento di attività commerciale anzichè dilettantistica da parte dell'associazione, e ciò sulla base della mera violazione dell'art. 148, DPR n. 917/1986; il giudice a quo, invece, avrebbe dovuto considerare che, in realtà, all'interno dell'associazione i requisiti di democraticità ed eleggibilità erano rispettati e che lo stesso legale rivestiva unicamente la carica di Segretario e non di Presidente, funzione di cui era titolare invece l'altro socio;

- con il quinto motivo di ricorso, in particolare, il giudice di seconde cure sarebbe incorso in un errore di ultrapetizione, in quanto si sarebbe pronunciato oltre i limiti posti dalla domanda formulata negli atti impositivi e delle eccezioni proposte con il ricorso introduttivo. Specifica, il ricorrente, che il giudice avrebbe tenuto in considerazioni delle circostanze - come il tipo di pubblicità svolta dall'ente o il ruolo e il rapporto di lavoro di un'addetta delle pulizie - introdotte per la prima volta in appello, e perciò inammissibili;

- con il sesto motivo di ricorso, il ricorrente deduce, in particolare, che la CTR avrebbe omesso di valutare le prove offerte in giudizio dal ricorrente e, in particolare, le dichiarazioni di alcuni soggetti che non solo avrebbero provato l'esistenza di democraticità all'interno dell'associazione, ma anche lo scopo non lucrativo della stessa;

- con l'ultimo motivo di ricorso, infine, evidenzia parte ricorrente che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui non avrebbe accertato l'illegittimità della sottoscrizione dell'atto impositivo.

Procedendo quindi all'esame dei motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.

Il primo motivo di ricorso è infondato. Al riguardo, è necessario sottolineare che la provenienza di un atto di appello dall'Ufficio periferico dell'Agenzia delle Entrate, e la sua idoneità a rappresentarne la volontà, si presumono anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio appellante o, comunque l'usurpazione del potere di impugnare la sentenza; pertanto, ove non venga eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio, si deve presumere che l'atto provenga dallo stesso e ne esprima la volontà.

Il secondo motivo di ricorso è anch'esso infondato. In particolare, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non sussiste violazione del principio del contraddittorio e della disciplina del litisconsorzio necessario in quanto, come specificato dallo stesso ricorrente, il socio ha impugnato lo stesso atto impositivo, esercitando così compiutamente il proprio diritto di difesa. Va rilevato, peraltro, che il socio è stato chiamato a rispondere quale legale rappresentante dell'associazione debitrice. La natura personale e solidale di tale responsabilità comporta che, sul piano processuale, non è ravvisabile un litisconsorzio necessario con gli associati, e la scindibilità delle eventuali cause non determina la necessità del simultaneus processus.

Rispetto, poi, all'altra socia, è necessario in primo luogo precisare che l'Ufficio non ha contestato all'associazione di costituire in realtà una società di fatto, non avendo riqualificato la stessa come società di persone, benchè irregolare, limitandosi invece ad accertarne la natura commerciale e non meramente dilettantistica (Cass. 24 dicembre 2021, n. 41510; Cass. 25 giugno 2020, n. 12687; Cass. 19 giugno 2008, n. 16750).

Inoltre, la deduzione del ruolo della socia quale litisconsorte necessaria nel presente giudizio appare insufficiente in termini di specificità. Parte ricorrente ha, difatti, posto l'accento sull'accertamento in fatto secondo cui la stessa è stata tra i soci fondatori dell'associazione contribuente, ma non ha dedotto, nè allegato che lei abbia ricoperto cariche sociali con rilevanza esterna all'interno dell'associazione contribuente, nè che abbia partecipato alla distribuzione degli utili dell'associazione. Sotto quest'ultimo profilo va evidenziato che l'affermazione della CTR non integra un vero e proprio accertamento in fatto, tenuto conto che il ruolo assunto dalla socia non impinge nella ratio decidendi.

In aggiunta, la giurisprudenza di questa Corte ha posto l'accento sul fatto che gli eventuali ricavi commerciali dell'associazione vadano ad arricchire "solo il fondo comune, fatte salve l'allegazione e la prova della distribuzione di utili agli associati, pretesi gestori di fatto" (Cass. 30 maggio 2012, n. 8623). La distribuzione di utili, anche indiretta, oltre a costituire elemento indiziario ex art. 148, co. 8, lett. a, DPR n. 917/986, al fine di attribuire natura commerciale all'ente collettivo non commerciale (Cass. 26 settembre 2018, n. 22939), costituisce il presupposto, stante la ricaduta a cascata degli utili sugli associati che abbiano partecipato alla loro distribuzione, per l'accertamento del maggior reddito da partecipazione derivante dal maggior reddito dell'ente associativo.

La partecipazione agli utili degli associati rende la questione del contraddittorio tra associazioni e associati omologa a quanto avviene per i soci delle società di persone, ancorchè (come avviene per gli accomandanti), si tratti di soci privi di cariche sociali. In tali casi, l'esistenza del vincolo litisconsortile tra la persona fisica del socio/associato e l'ente collettivo societario/associativo riposa, appunto, sulla presunzione di distribuzione di utili e del conseguente incremento del reddito da partecipazione come conseguenza dell'accertamento del maggior reddito dell'ente collettivo. La mancata contestazione della distribuzione di utili in favore della associata ne esclude quindi la natura di litisconsorte nel presente giudizio. Il motivo va, pertanto, rigettato nel suo complesso.

Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. La CTR, infatti, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità, ha riscontrato che uno dei due soci era rappresentante dell'Associazione Proforma e che solo successivamente è stato comunicato con il modello telematico (EAS) il subentro quale rappresentante legale del figlio.

Il quarto motivo di ricorso è infondato. Il rispetto delle prescrizioni formali previste dall'art. 148, DPR n. 917/1986 costituisce condizione per l'associazione per fruire delle agevolazioni tributarie previste per gli enti di tipo associativo non commerciale. Nel caso di specie, la CTR, sulla base degli elementi non meramente indiziari presentati dall'Ufficio, ha compiuto un accertamento di fatto sul rispetto o meno dei requisiti prescritti in materia di agevolazioni fiscali, in particolare sottolineando la spendita presso terzi della qualifica di centro sportivo - anzichè di associazione - l'offerta di servizi, la violazione dell'art. 90, L n. 289/2002, l'assenza di democraticità, risultante dalla discriminazione dei soci ordinari dai soci fondatori in termini di pagamento delle quote associative e di elettorato attivo e passivo, nonchè la mancata partecipazione alla vita associativa dei soci.

Il quinto motivo di ricorso è inammissibile. L'inammissibilità del motivo di ricorso in questione è riscontrabile, da un lato, per la violazione del principio di specificità del ricorso, in quanto parte ricorrente non ha riportato la parte dell'avviso di accertamento relativa agli elementi indiziari addotti dall'Ufficio e rispetto alla quale lamenta un vizio di ultrapetizione, e, dall'altro lato, perchè la statuizione del giudice sul punto non costituisce autonoma ratio decidendi della decisione, non avendo il giudice formato il proprio convincimento sulla base soltanto di quegli elementi indiziari.

Anche il sesto motivo di ricorso è inammissibile. I ricorrenti, pertanto, si dolgono dell'omesso esame di alcuni elementi di prova, quali le dichiarazioni di alcuni soci ordinari dai quali emergerebbe l'esistenza della democraticità e l'esistenza di uno scopo non lucrativo dell'associazione. Con tale motivo parte ricorrente intende, pertanto, censurare - attraverso il dedotto non corretto esame delle prove - una diversa ricostruzione fattuale rispetto a quella operata dal giudice di appello, riservata al giudice del merito.

Il settimo e ultimo motivo di ricorso è infondato. In disparte dall'erroneo riferimento normativo (da individuarsi nell'art. 42 d.P.R. n. 600/1973), il ricorrente non contesta l'accertamento, compiuto dalla CTR, secondo cui il funzionario sottoscrittore dell'atto impositivo fosse fornito di delega, bensì la valutazione della validità della delega, in quanto la delega sarebbe stata conferita per accertamenti di valore superiore a quello oggetto di causa. Tale circostanza non ha una specifica incidenza ai fini della validità dell'atto impositivo, posto che la delega di firma costituisce un atto di natura organizzativa intercorrente tra organi del medesimo ufficio in rapporto di subordinazione gerarchica e avente titolo nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente ad esso preposto (Cass. 2 febbraio 2021, n. 2221), per cui opera in tal caso la presunzione generale di riferibilità dell'atto all'organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato.

La Suprema Corte rigetta il ricorso, condannando il ricorrente alla rifusione, in favore dell'Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio.

di Ilia Sorvillo

Fonte normativa

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