giovedì, 25 luglio 2024 | 14:45

Assoluzione in sede penale: annullato il licenziamento

In tema di licenziamento disciplinare, il principio della immutabilità della contestazione non impedisce al datore di lavoro, nei casi di sospensione del procedimento disciplinare per la contestuale pendenza del processo penale, di utilizzare all'atto della riattivazione del procedimento gli accertamenti compiuti in sede penale per circoscrivere meglio l'addebito (Cassazione - sentenza 22 luglio 2024 n. 20109, sez. lav.)

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Assoluzione in sede penale: annullato il licenziamento

In tema di licenziamento disciplinare, il principio della immutabilità della contestazione non impedisce al datore di lavoro, nei casi di sospensione del procedimento disciplinare per la contestuale pendenza del processo penale, di utilizzare all'atto della riattivazione del procedimento gli accertamenti compiuti in sede penale per circoscrivere meglio l'addebito (Cassazione - sentenza 22 luglio 2024 n. 20109, sez. lav.)

Il caso

La Corte d'appello di Genova annullava il licenziamento disciplinare intimato ad un dipendente pubblico, vigile urbano, dal Comune sulla base di elementi emersi nel corso di una inchiesta penale nella quale venivano addebitati al lavoratore episodi di: allontanamenti dal posto di lavoro senza effettuare la timbratura del cartellino in uscita; esecuzione di timbratura da parte di soggetti terzi; omissione di timbratura seguita di dichiarazione di orari di servizio non veritieri.
La Corte, in particolare, dopo avere concluso che la vicenda oggetto di procedimento disciplinare risultava identica a quella sottoposta alla cognizione del giudice penale, come identici erano gli elementi istruttori posti alla base della sanzione disciplinare, attribuiva valenza dirimente alla circostanza del passaggio in giudicato della sentenza che aveva assolto il lavoratore con la formula ”perché il fatto non sussiste”.
I giudici d'appello, infatti, dopo aver ricostruito i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, ritenevano che il giudicato penale - che aveva escluso la sussistenza degli episodi ascritti al dipendente - presentasse valenza vincolante anche nel giudizio civile di impugnazione del licenziamento.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Comune.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, richiamando la regola di cui all'art. 653 c.p.p., la quale attribuisce efficacia di giudicato, nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità, alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione e a quella di condanna, rispettivamente, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero per l’imputato non lo ha commesso, da un lato, e a quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, dall’altro.
Da qui la necessità di regolare per legge il possibile conflitto tra gli esiti dei due procedimenti, pur rimanendo l'Amministrazione libera di valutare autonomamente la rilevanza disciplinare dei fatti accertati.
A tale esigenza di coordinamento rispondono l’art. 55 ter, comma 2 (riapertura per modificare o confermare l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale), e comma 4 (rinnovo della contestazione dell’addebito), D.Lgs n. 165/2001, individuata la ratio del citato art. 55 ter nella volontà del legislatore di prevedere un meccanismo di raccordo per regolare possibili conflitti tra l'esito dei due procedimenti, pur nella rispettiva autonomia.
Sul punto il Collegio ha precisato che il disposto di cui all'art. 653 c.p.p. non può e non deve essere letto nei termini di una grossolana equazione "assoluzione in sede penale = insussistenza dell'illecito disciplinare" perché lo scopo della previsione, ben lungi dallo stabilire un simile automatismo, è quello semplicemente di consentire una valorizzazione degli esiti del procedimento penale ma non di procedere ad una sua acritica trasposizione sugli esiti del procedimento disciplinare.
Va, pertanto, escluso qualsiasi effetto automatico di integrale traslazione degli esiti della decisione in sede penale sugli esiti del procedimento disciplinare.
Il giudicato penale non vale a precludere, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità, fermo solo il limite dell’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità - e dunque, della ricostruzione dell’episodio posto a fondamento dell’incolpazione - operato nel giudizio penale, e ciò in quanto la medesima condotta, pur non costituendo reato, ben potrebbe integrare gli estremi dell'illecito disciplinare.
Dunque, l’incidenza del giudicato di assoluzione in sede penale sul giudizio civile avente ad oggetto il provvedimento disciplinare non è assoluta ed automatica, in quanto;
- la sentenza penale deve avere escluso la materialità delle condotte e non la sola rilevanza penale delle stesse, con la conseguenza che, anche nel caso di assoluzione perché il fatto non sussiste la esclusione della rilevanza penale delle condotte può assumere effetti diretti nell'ambito del procedimento disciplinare solo se la materialità delle condotte è sovrapponibile nei due procedimenti;
- l'esclusione della materialità delle condotte di cui al giudicato penale deve avere ampiezza tale da non lasciar residuare elementi fattuali che comunque possano avere autonoma rilevanza disciplinare;
- gli episodi oggetto della sentenza penale devono integralmente coincidere con quelli che sono stati oggetto della originaria contestazione disciplinare.
In conclusione, il giudicato penale di assoluzione (qualunque ne sia la formula) non determina automaticamente l'archiviazione del procedimento disciplinare e, anche nel caso di assoluzione perché il fatto penale non sussiste, la P.A. datrice di lavoro, nel rispetto del principio della immutabilità della contestazione, può sicuramente procedere disciplinarmente per fatti, magari rivelatisi inidonei alla condanna penale, che siano contenuti nell'ambito della originaria contestazione disciplinare e ciò in quanto, in tema di licenziamento disciplinare, il principio della immutabilità della contestazione non impedisce al datore di lavoro nei casi di sospensione del procedimento disciplinare per la contestuale pendenza del processo penale relativo ai medesimi fatti, di utilizzare, all'atto della riattivazione del procedimento, gli accertamenti compiuti in sede penale per circoscrivere meglio l'addebito, sempre nell'ambito di quello originario, sempre che al lavoratore, nel rispetto del diritto di difesa, sia consentito di replicare alle accuse così precisate.
Ebbene, nel caso sottoposto ad esame, la decisione impugnata si era pienamente conformata ai predetti principi, atteso che la sentenza penale di assoluzione, adottata con la formula "perché il fatto non sussiste", veniva ad incidere sulla stessa materialità dei fatti (e non sulla sola non rilevanza penale degli stessi); gli episodi oggetto della originaria contestazione disciplinare coincidevano integralmente con quelli oggetto dell'accertamento in sede penale; l'esclusione degli elementi costituitivi della fattispecie di reato non lasciava residuare altri elementi fattuali che consentissero di affermare un'autonoma rilevanza disciplinare delle condotte. Conseguentemente, ricorrevano i presupposti per ritenere sussistente il carattere vincolante dell'accertamento in sede penale anche in quella civile ex art. 653 c.p.p..

Di Chiara Ranaudo

Fonte normativa