venerdì, 26 luglio 2024 | 10:45

Disciplina dell’impresa familiare estesa al convivente di fatto

Costituzionalmente illegittimo l’art. 230-bis,co. 3, c.c., nella parte in cui non prevede come familiare anche il convivente di fatto e come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto (Corte costituzionale - sentenza 25 luglio 2024 n. 148)

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Disciplina dell’impresa familiare estesa al convivente di fatto

Costituzionalmente illegittimo l’art. 230-bis,co. 3, c.c., nella parte in cui non prevede come familiare anche il convivente di fatto e come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto (Corte costituzionale - sentenza 25 luglio 2024 n. 148)

Il caso

La vicenda trae le mosse dal giudizio introdotto dalla convivente di un uomo deceduto nei confronti dei figli e coeredi. La donna si era rivolta al Tribunale di Fermo con domanda di accertamento dell’esistenza di una impresa familiare, relativa ad una azienda agricola, e di condanna alla liquidazione della quota a lei spettante quale partecipante all’impresa.
La stessa aveva dedotto di aver prestato attività lavorativa in modo continuativo nell’azienda del convivente dal 2004 (anno di iscrizione del registro delle imprese) fino al 2012.
Il Tribunale di Fermo aveva rigettato la domanda, rilevando che il convivente di fatto non poteva essere considerato «familiare» ai sensi dell’art. 230-bis, co. 3, cod. civ. e la Corte d’appello di Ancona aveva confermato il rigetto sull’identico presupposto, escludendo, altresì, l’applicabilità dell’art. 230-ter cod. civ., in quanto il rapporto di convivenza era cessato prima dell’entrata in vigore della L 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), che, con l’aggiunta del suddetto articolo, aveva in parte esteso ai conviventi la disciplina dell’impresa familiare.
In sede di ricorso per cassazione, la donna ha denunciato la mancata considerazione delle mutate sensibilità sociali in materia di convivenza more uxorio, oltre che delle aperture della giurisprudenza sia di legittimità e sia costituzionale.
La Corte di cassazione, sezione lavoro, ha chiesto l’intervento nomofilattico delle Sezioni unite che hanno ritenuto che la norma in esame ponga concreti dubbi di illegittimità costituzionale nella parte in cui non include nel novero dei familiari il convivente more uxorio, per violazione degli artt. 2, 3, 4, 35 e 36 Cost., nonché per violazione dell’art. 9 CDFUE e dell’art. 117, co. 1, Cost., con conseguente illegittimità derivata, anche dell’art. 230-ter cod. civ. che non avrebbe riconosciuto al convivente di fatto la stessa tutela del coniuge/familiare ma una tutela differenziata di portata inferiore.


La decisione della Consulta

La Corte costituzionale ha preliminarmente ricordato che conviventi di fatto sono definiti, ai sensi del comma 36 dell’art. 1 della legge citata, due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
Ciò posto, la Consulta ha rilevato che vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa, sia della giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha dato piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto.
Dunque permangono differenze di disciplina rispetto al modello di famiglia fondata sul matrimonio, ma, quando si tratta di diritti fondamentali, esse sono recessive e la tutela non può che essere la stessa. In proposito fondamentale è il diritto al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e alla giusta retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.), che, quando reso nel contesto di un’impresa familiare, richiede uguale protezione dal momento che anche il convivente more uxorio, come il coniuge, versa nella stessa situazione in cui l’affectio maritalis fa sbiadire l’assoggettamento al potere direttivo dell’imprenditore, tipico del lavoro subordinato, e la prestazione lavorativa rischia di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito. Si smarrisce così l’effettività della protezione del lavoro del convivente che, in termini fattuali, non differisce da quello del lavoro familiare prestato da chi è legato all’imprenditore da un rapporto di coniugio, parentela o affinità.
Il Giudice delle Leggi ha, in definitiva, ritenuto ingiustificata l’esclusione del convivente di fatto dalla previsione di una norma posta a tutela del diritto al lavoro che va riconosciuto quale strumento di realizzazione della dignità di ogni persona, sia come singolo che quale componente della comunità, a partire da quella familiare.
Ai conviventi di fatto vanno dunque riconosciute le stesse prerogative patrimoniali e partecipative del coniuge e della persona unita civilmente all’imprenditore.
Dall’ ampliamento della tutela apprestata dall’art. 230-bis cod. civ. al convivente di fatto, per effetto della pronuncia di illegittimità costituzionale, è derivata la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’ art. 230-ter cod. civ., che, attribuendo al convivente di fatto una tutela dimidiata dal mancato riconoscimento del diritto al mantenimento, del diritto di prelazione nonché dei diritti partecipativi, e quindi significativamente più ridotta, determina un ingiustificato abbassamento di protezione.

di Chiara Ranaudo

Fonte normativa