giovedì, 31 ottobre 2024 | 10:41

Licenziamento per superamento del comporto escluso dal “blocco” Covid

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto non rientra nel cd. "blocco" dei licenziamenti per emergenza pandemica da Covid-19 previsto dall'art. 46, DL 18/2020, non essendo equiparabile al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Cassazione - sentenza 14 ottobre 2024 n. 26634, sez. lav.)

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Licenziamento per superamento del comporto escluso dal “blocco” Covid

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto non rientra nel cd. "blocco" dei licenziamenti per emergenza pandemica da Covid-19 previsto dall'art. 46, DL 18/2020, non essendo equiparabile al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Cassazione - sentenza 14 ottobre 2024 n. 26634, sez. lav.)

Il caso

La Corte d'appello di Roma confermava la legittimità del licenziamento intimato ad una lavoratrice con contratto di lavoro part-time verticale per superamento del periodo di comporto.
I giudici del gravame, in particolare, negavano che il licenziamento in questione rientrasse nella previsione di nullità stabilita dall'art. 46, DL 18/2020 (cd. "blocco" dei licenziamenti per emergenza pandemica da Covid-19), per l'obiettiva diversità di natura del licenziamento per superamento del periodo di comporto da quello per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, L n. 604/1966.
Tenuto conto del limite stabilito dal CCNL applicabile per la conservazione del posto di lavoro, con riguardo al rapporto di lavoro a tempo parziale verticale, per un periodo massimo non superiore alla metà delle giornate lavorative concordate fra le parti in un anno solare, la Corte territoriale ne accertava accertato l'ampio superamento, in quanto di 78,5 giorni in un anno, per la durata della malattia (113 giorni nell'arco temporale tra il 6 agosto e il 25 novembre 2020) della lavoratrice, e ciò per la presunzione di continuità della stessa, inclusi in essa festività e giorni non lavorativi rientranti nel periodo dei certificati medici emessi in sequenza, senza soluzione di continuità.
Avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, da un lato, la mancata estensione del divieto di licenziamento anche al recesso per superamento del periodo di comporto, in quanto riconducibile alla fattispecie del giustificato motivo oggettivo, per i riflessi delle assenze per malattia della lavoratrice sull'organizzazione aziendale; dall’altro, l’ erronea individuazione del criterio di computo delle giornate di malattia in regime di part time verticale, in violazione dei principi di proporzionalità e non discriminazione.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, rilevando, preliminarmente, che la natura di norma speciale dell'art. 46, co. 1, DL 18/2020, ispirato dalla specifica ratio di tutela dei lavoratori dalle conseguenze negative sull'occupazione derivanti dal blocco o dalla riduzione dell'attività produttiva conseguente all'emergenza COVID- 19, ne esclude l'applicabilità in via analogica.
A maggior ragione, secondo quanto evidenziato dal Collegio, la nullità del divieto non è estensibile all'ipotesi di recesso per superamento del periodo di comporto, in quanto soggetto alle regole dettate dall'art. 2110 c.c., prevalenti, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali.
Invero, ad avviso del Collegio, la possibilità di licenziamento, anche nel periodo temporale interessato dal blocco, per superamento del periodo di comporto si ricava, in positivo, dalla previsione di non computabilità, ai suoi fini, del periodo trascorso in quarantena domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva.
In secondo luogo i giudici di legittimità hanno chiarito che, secondo i criteri interpretativi di letteralità (art. 1362 c.c.) e sistematico (art. 1363 c.c.), il periodo di comporto per la lavoratrice, in regime di tempo parziale verticale al 50%, doveva essere determinato in un numero massimo di giorni di calendario non superiore alla metà delle giornate lavorative concordate fra le parti in un anno solare, e quindi, come aveva correttamente ritenuto la Corte d'appello, nel numero di 78,5.
Inoltre, nel calcolo del periodo di comporto, ai fini del suo superamento, andavano inclusi, oltre ai giorni festivi, anche quelli di fatto non lavorati, ricadenti nel periodo di malattia indicato dal certificato medico, posto che, in difetto di prova contraria (che è onere del lavoratore fornire), opera una presunzione di continuità in quei giorni dell'episodio morboso addotto dal lavoratore quale causa dell'assenza dal lavoro e del mancato adempimento della prestazione dovuta. La prova idonea a smentire tale presunzione di continuità può essere costituita solo dalla dimostrazione dell'avvenuta ripresa dell'attività lavorativa, mai avvenuta nel caso di specie.

Di Chiara Ranaudo

Fonte normativa