lunedì, 25 novembre 2024 | 12:53

Diritto di critica nel rapporto di collaborazione

Le dichiarazioni rilasciate ad un quotidiano dal collaboratore costituiscono legittimo esercizio del diritto di critica e non possono integrare giusta causa di interruzione del rapporto (Cassazione - ordinanza 21 novembre 2024 n. 30087, sez. lav.)

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Diritto di critica nel rapporto di collaborazione

Le dichiarazioni rilasciate ad un quotidiano dal collaboratore costituiscono legittimo esercizio del diritto di critica e non possono integrare giusta causa di interruzione del rapporto (Cassazione - ordinanza 21 novembre 2024 n. 30087, sez. lav.)

La Suprema Corte ha confermato le decisioni dei giudici di merito che avevano condannato una società al risarcimento dei danni derivanti dal recesso dal contratto di collaborazione stipulato con un lavoratore, intimato in seguito a dichiarazioni rilasciate ad un quotidiano sportivo in una intervista.
La Corte d’appello territoriale, condividendo le conclusioni del primo giudice, aveva ritenuto che le dichiarazioni rilasciate in “replica” a quelle -di segno diverso- rese dal CEO della società pochi giorni prima, costituissero legittimo esercizio del diritto di critica del collaboratore e non potessero integrare giusta causa di interruzione del rapporto, rispettando i limiti della continenza formale, dell'interesse pubblico alla conoscenza della notizia e della verità oggettiva.

Secondo la Corte, inoltre, non giovava alla società invocare l'oggetto dell’incarico affidato al collaboratore in quanto con esso egli non aveva rinunciato alla facoltà di fare legittimo esercizio di un proprio diritto costituzionalmente garantito, qual è quello di critica, né aveva violato gli impegni assunti col contratto, posto che il contenuto dell'intervista non divulgava in informazioni qualificabili come riservate alla luce delle previsioni contrattuali.
I giudici di legittimità hanno fatto propria la ricostruzione operata dalla Corte di merito, secondo cui, nel caso di specie, la contestata intervista rappresentava un legittimo esercizio del diritto di critica e di libera manifestazione del pensiero del collaboratore e non violava obblighi contrattualmente pattuiti con conseguente esclusione della sussistenza di una giusta causa di recesso.
A riguardo il Collegio non ha mancato di ribadire il principio, applicabile a caso in esame, secondo cui l'apprezzamento in ordine al superamento dei limiti di continenza e pertinenza stabiliti per un esercizio lecito della critica rivolta dal lavoratore nei confronti del datore costituisce valutazione rimessa al giudice di merito.

Di Chiara Ranaudo

Fonte normativa