giovedì, 28 novembre 2024 | 11:52

Per dimostrare la simulazione della malattia non è necessaria la querela di falso

Il datore di lavoro che intenda contestare in giudizio la sussistenza della malattia del proprio dipendente non è tenuto a proporre querela di falso con riguardo alla certificazione medica (Cassazione - sentenza 27 novembre 2024 n. 30551, sez. lav.)

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Per dimostrare la simulazione della malattia non è necessaria la querela di falso

Il datore di lavoro che intenda contestare in giudizio la sussistenza della malattia del proprio dipendente non è tenuto a proporre querela di falso con riguardo alla certificazione medica (Cassazione - sentenza 27 novembre 2024 n. 30551, sez. lav.)

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Il caso

La Corte di appello di Roma riteneva illegittimo il licenziamento che una s.p.a. aveva intimato ad una dipendente per uso improprio dell'assenza per malattia, tale da far desumere la simulazione della stessa ovvero per comportamento contrario ai doveri di correttezza, buona fede, fedeltà aziendale nell'esecuzione del rapporto, idoneo a determinare il prolungamento della malattia.
La Corte, in particolare, recepiva l'esito della consulenza tecnica medica d'ufficio che aveva verificato la compatibilità delle attività fisiche espletate dalla dipendente rispetto alla situazione patologica decritta dai certificati di malattia ed aveva escluso che tali condotte fossero idonee a causare un ritardo nella guarigione o un peggioramento del quadro complessivo; ritenuto, pertanto, insussistente il fatto contestato, in quanto privo di potenzialità lesiva del vincolo fiduciario, i giudici di appello applicavano la tutela reintegratoria dettata dall'art. 18, co. 4, L n. 300 del 1970.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso, lamentando, tra i motivi, che la Corte territoriale avesse errato nell’affermare che il datore di lavoro che intenda contestare in giudizio la sussistenza della malattia del proprio dipendente deve proporre querela di falso con riguardo alla certificazione medica, atteso che la simulazione dello stato di malattia può desumersi dalla valorizzazione di una pluraIità di circostanze di fatto, senza che sia necessario contestare la falsità dei certificati medici.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondata la doglianza della società, rilevando che, a fronte della contestazione disciplinare irrogata dalla società che comprendeva sia il profilo della simulazione della malattia sia, in alternativa, il profilo dell'aggravamento della stessa durante l'assenza dal lavoro, la Corte territoriale avesse errato nel valutare solamente quest'ultimo, senza approfondire l'aspetto relativo alla possibile simulazione della malattia (cervicobrachialgia acuta con vertigine) che era stata ritenuta sussistente, dal consulente medico d'ufficio, sulla base della mera attestazione del medico di medicina generale. In altre parole i giudici di merito avevano erroneamente asserito che per contestare l'esattezza d'una diagnosi fosse necessaria una querela di falso del certificato medico.
Di contro, il Collegio ha precisato che l'accertamento in ordine alla sussistenza o meno dell'inadempienza idonea a legittimare il licenziamento, sia essa la fraudolenta simulazione della malattia ovvero l'idoneità della diversa attività contestata a pregiudicare il recupero delle normali energie psico fisiche, si risolve in un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice del merito, che deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto e il relativo onere della prova incombe sul datore di lavoro.
I giudici di legittimità non hanno mancato, infine, di richiamare l'orientamento secondo cui il certificato redatto da un medico convenzionato con un ente previdenziale o con il Servizio Sanitario Nazionale per il controllo della sussistenza delle malattie del lavoratore è atto pubblico che fa fede, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato nonché dei fatti che il pubblico ufficiale medesimo attesta aver compiuto o essere avvenuti in sua presenza. Tale fede privilegiata, però, non si estende anche ai giudizi valutativi che il sanitario ha espresso, in occasione del controllo, in ordine allo stato di malattia e all’impossibilità temporanea della prestazione lavorativa. Tali giudizi, infatti, pur dotati di un elevato grado di attendibilità in ragione della qualifica funzionale e professionale del pubblico ufficiale e dotati, quindi, di una particolare rilevanza sotto il profilo dell'art. 2729 c.c., consentono al giudice di considerare anche elementi probatori di segno contrario acquisiti al processo.

Di Chiara Ranaudo

Fonte normativa