mercoledì, 19 febbraio 2025 | 10:56

Lavoratrice in stato di gravidanza: licenziamento consentito in caso di colpa grave

La colpa grave che esclude l'operatività del divieto di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza non può essere assimilata alla giusta causa ordinaria prevista per generici casi di inadempimento sanzionati con la risoluzione del rapporto (Cassazione - ordinanza 03 febbraio 2025, n. 2586, sez. lav.)

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Lavoratrice in stato di gravidanza: licenziamento consentito in caso di colpa grave

La colpa grave che esclude l'operatività del divieto di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza non può essere assimilata alla giusta causa ordinaria prevista per generici casi di inadempimento sanzionati con la risoluzione del rapporto (Cassazione - ordinanza 03 febbraio 2025, n. 2586, sez. lav.)


Il caso

La Corte d'Appello di Brescia confermava la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato da una S.p.a. ad una propria dipendente per l'utilizzo improprio dei permessi ex L. 104/92, accertato tramite una relazione investigativa redatta da un'agenzia privata e confermata da prove testimoniali. 
I giudici di merito ritenevano, in particolare, che il comportamento della lavoratrice fosse riconducibile all'ipotesi della colpa grave ex art. 54, co. 3, DLgs n. 151/2001 che esclude l'operatività del divieto di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza o di puerperio, atteso che, nel corso delle due giornate in cui aveva fruito dei permessi in questione, giustificati con l'assistenza al nonno, residente in una casa di riposo, la dipendente aveva svolto per la quasi totalità del periodo incombenze legate a esigenze di carattere esclusivamente personale, con conseguente sussistenza di uno scostamento rilevantissimo tra il comportamento tenuto e la finalità di assistenza dei permessi.
La Corte territoriale, nel caso in esame, riteneva che la condotta tenuta dalla lavoratrice si configurasse di gravità tale da giustificare il licenziamento, escludendone la ritorsività o discriminatorietà, non essendo emersa alcuna correlazione tra lo stato di gravidanza della lavoratrice e il recesso ed essendo il licenziamento fondato su ragioni oggettive accertate prima della comunicazione della gravidanza.
Per la cassazione della predetta sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso, lamentando, tra i motivi, che la Corte di merito avesse erroneamente assimilato la "colpa grave" prevista dall'art. 54, co. 3, lett. a, DLgs n. 151/2001 alla giusta causa ordinaria.

 

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, rilevando che, per accertare la colpa grave da parte della lavoratrice in stato di gravidanza non è sufficiente accertare la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, ma è invece necessario verificare - con il relativo onere probatorio a carico del datore di lavoro - se sussista quella colpa specificatamente prevista dall’art. 54, co. 3, DLgs 151/2001 e diversa (per l'indicato connotato di gravità) da quella prevista dalla legge o dalla disciplina collettiva per generici casi di infrazione o di inadempimento sanzionati con la risoluzione del rapporto; tale verifica deve essere eseguita tenendo conto del comportamento complessivo della lavoratrice, in relazione alle sue particolari condizioni psicofisiche legate allo stato di gestazione, le quali possono assumere rilievo ai fini dell'esclusione della gravità del comportamento sanzionato solo in quanto abbiano operato come fattori causali o concausali dello stesso. 
Nel caso di specie, invece, nell’individuare la colpa grave richiesta per giustificare il licenziamento, la sentenza impugnata si era limitata ad evidenziare che il comportamento tenuto dalla lavoratrice fosse caratterizzato dalla particolare intensità dell'elemento soggettivo, valorizzando elementi di per sé non sufficienti a delineare quella particolare gravità della colpa richiesta per superare il divieto di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza.

di Chiara Ranaudo

Fonte normativa