giovedì, 20 febbraio 2025 | 10:49

Danno alla professionalità: incide anche il mancato aggiornamento

Risarcibile al lavoratore il danno derivante dal demansionamento subito, quantificabile anche sulla base dell'evoluzione tecnologica del settore cui il dipendente è addetto e di cui è stato privato (Cassazione - ordinanza 10 febbraio 2025 n. 3400, sez. lav.)

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Danno alla professionalità: incide anche il mancato aggiornamento

Risarcibile al lavoratore il danno derivante dal demansionamento subito, quantificabile anche sulla base dell'evoluzione tecnologica del settore cui il dipendente è addetto e di cui è stato privato (Cassazione - ordinanza 10 febbraio 2025 n. 3400, sez. lav.)

Il caso

La Corte di appello di Milano accoglieva le domande proposte da un lavoratore confronti della società di cui era dipendente, dichiarando l'avvenuto demansionamento e condannando la società a reintegrarlo nelle mansioni precedentemente svolte o in altre equivalenti e a risarcirgli il danno alla professionalità subito.
La Corte, in particolare, a fondamento della propria decisione, riteneva che, in ordine al danno patito, il lavoratore avesse soddisfatto l'onere probatorio a suo carico e, considerando vari elementi tra cui una precedente breve durata in una pregressa riassegnazione alle corrette mansioni, la lunga durata del rapporto lavorativo, la competenza professionale in possesso del lavoratore il cui ambito di assegnazione era interessato da una rapida e continua innovazione, il periodo triennale del demansionamento subito, giudicava congrua la quantificazione operata in via equitativa dal primo giudice, pari ad euro 1.000,00 per ogni mese del periodo di dequalificazione.
Avverso la sentenza di secondo grado la società datrice ha proposto ricorso per cassazione, criticando, tra i motivi, la quantificazione del danno alla professionalità riconosciuto al lavoratore in relazione alle sue conoscenze e nozioni tecniche, andate distrutte per effetto dell'adibizione a mansioni diverse ed inferiori.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ricordando, preliminarmente, che, in tema di dequalificazione professionale, è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore, da accertarsi in base alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, all'inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del prestatore di lavoro, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o svilirne i compiti. La relativa prova spetta al lavoratore, il quale tuttavia non deve necessariamente fornirla per testimoni, potendo anche allegare elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, quali, ad esempio, la qualità e la quantità dell'attività lavorativa svolta, la natura e il tipo della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento o la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.
Ebbene ad avviso del Collegio, nel caso in esame, le conclusioni della Corte territoriale risultavano in linea con i principi di legittimità richiamati, avendo i giudici di appello correttamente tratto elementi presuntivi della sussistenza del danno dalla qualità delle mansioni svolte, dalla durata del demansionamento subito, dalle modalità dell'inadempimento della società (che aveva reiterato la condotta di dequalificazione) nonché dalla velocità dell'evoluzione tecnologica del settore cui il dipendente era addetto e di cui era stato in sostanza privato.

Di Chiara Ranaudo

Fonte normativa