giovedì, 27 febbraio 2025 | 11:15

Pubblico impiego: lo straordinario va remunerato a prescindere dalla validità della richiesta

Nel pubblico impiego, in caso di consenso del datore di lavoro, anche se prestato in maniera non formalmente corretta, il lavoro straordinario va pagato (Cassazione - ordinanza 26 febbraio 2025 n. 4984, sez. lav.)

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Pubblico impiego: lo straordinario va remunerato a prescindere dalla validità della richiesta

Nel pubblico impiego, in caso di consenso del datore di lavoro, anche se prestato in maniera non formalmente corretta, il lavoro straordinario va pagato (Cassazione - ordinanza 26 febbraio 2025 n. 4984, sez. lav.)

Il caso

La vicenda trae le mosse dal ricorso presentato da un dipendente dell’ Arif Puglia, al fine di ottenere la condanna della datrice di lavoro al pagamento di una somma (circa 17000,00 euro), a lui spettante a titolo di remunerazione delle ore spese per il tragitto casa lavoro e di retribuzione per 20 minuti di lavoro straordinario per giornata lavorativa, oltre al risarcimento del danno o a un'indennità per la mancata messa a disposizione di acqua potabile, servizi igienici e rifugio a uso spogliatoio.
Il Tribunale di Foggia accoglieva il ricorso limitatamente alla domanda concernente gli straordinari, quantificando la somma dovuta in € 3.380,50. Tale decisione veniva confermata dalla Corte d'appello di Bari.
Avverso la sentenza di appello l’Amministrazione ha proposto ricorso per cassazione, contestando, da un lato il fatto che il giudice di appello avesse ritenuto tardiva e nuova la sua allegazione difensiva, avvenuta, per la prima volta, in appello, dell'assenza di autorizzazione dello straordinario riconosciuto al dipendente; dall’altro, lamentando che la corte territoriale avesse considerato prova valida del lavoro straordinario le risultanze di alcune testimonianze, senza rilevare che non vi erano agli atti i tabulati estratti dalle rilevazioni dei cartellini marcatempo o dei fogli di presenza debitamente controfirmati ex art. 3, co. 83, L  n. 244 del 2007.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso, rilevando che nel pubblico impiego contrattualizzato, l'autorizzazione della P.A. risulta necessaria perché il dipendente possa prestare lavoro straordinario.
Si tratta, quindi, di un elemento costitutivo della pretesa del lavoratore che agisca per il suo pagamento e che, pertanto, deve essere da lui allegato e dimostrato.
Pertanto, nel caso di specie, non poteva sostenersi che la P.A. non potesse contestare in appello l'assenza di prova dell'autorizzazione, trattandosi di un elemento che avrebbe dovuto essere allegato e provato dal ricorrente originario e la cui sussistenza avrebbe dovuto essere verificata d'ufficio dal giudice.
Non avendo il Tribunale di Foggia operato il necessario accertamento, ben poteva l’Amministrazione chiedere alla Corte d'appello di Bari di compierlo. D’altronde, la PA aveva sempre negato la spettanza del diritto allo straordinario, il che comportava che il tema della sua autorizzazione non fosse certo nuovo in appello.
Quanto alla seconda doglianza dell’Amministrazione, il Collegio ha chiarito che, in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni "aggiuntive" è subordinato al ricorrere dei presupposti dell'autorizzazione regionale, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l'attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario, purché sussista il consenso datoriale, a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, che determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione. 
La Cassazione non ha mancato di aggiungere che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo ai dipendente.
Sulla base di tali presupposti, i giudici di legittimità hanno cassato, con rinvio, la sentenza impugnata, sancendo i seguenti principi di diritto:
"In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il lavoratore ha diritto al pagamento della prestazione resa per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, ove sia eseguita con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformare la relativa prestazione e, comunque, non insciente o prohibente domino o in modo coerente con la volontà del soggetto preposto, a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto dei limiti e delle regole sulla spesa pubblica, che possono incidere, eventualmente, sulla responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione, atteso che tale consenso è il solo elemento che condiziona l'applicabilità dell'art. 2126 c.c., in relazione all'art. 2108 c.c."; e “l'esecuzione di detta prestazione può essere dimostrata anche tramite testi, a prescindere da quanto previsto dall'art. 3, co. 83, L  n. 244 del 2007, in base al quale le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze".

Di Chiara Ranaudo

Fonte normativa