Congedo parentale: nessun abuso in caso di assenza temporanea per ragioni familiari urgenti
Illegittimo il licenziamento del lavoratore che, durante la fruizione del congedo parentale, si allontani per un breve periodo dal figlio al fine di assistere la madre malata nel paese di origine (Cassazione - ordinanza 16 marzo 2025 n. 6993, sez. lav.)
Congedo parentale: nessun abuso in caso di assenza temporanea per ragioni familiari urgenti
Illegittimo il licenziamento del lavoratore che, durante la fruizione del congedo parentale, si allontani per un breve periodo dal figlio al fine di assistere la madre malata nel paese di origine (Cassazione - ordinanza 16 marzo 2025 n. 6993, sez. lav.)
La Corte d'appello di Trento dichiarava l'illegittimità del licenziamento irrogato ad un lavoratore per l'abuso, limitatamente agli ultimi 10 giorni, del congedo parentale fruito per il figlio.
Per il periodo in questione la Corte riteneva ritenuto comprovato dall'istruttoria che il lavoratore - che nel periodo precedente aveva prestato la propria assistenza al figlio - fosse ritornato in Marocco, dove risiedeva la madre, a causa dell'improvviso aggravamento delle sue condizioni di salute, lasciando il figlio in Italia con la moglie. Durante tale lasso di tempo lo stesso lavoratore non aveva espletato alcuna attività di lavoro per conto terzi, né aveva messo in atto altre condotte incompatibili con le motivazioni assistenziali alla base dell'istituto del congedo parentale, atteso che il breve periodo in cui era tornato da solo al suo paese di origine era stato determinato dalla necessità di assistere la madre malata.
Pertanto, ad avviso dei giudici di appello, la condotta contestata non appariva connotata da intrinseco disvalore sociale, trattandosi comunque di una assenza temporanea per ragioni familiari urgenti e contingenti, esigenza riconducibile nell'alveo dei doveri di solidarietà familiare e di cura dei legami. Né il lavoratore appariva meritevole di alcun rimprovero per aver lasciato in Italia il figlio con la madre per il breve lasso di tempo, atteso che non era ragionevole sottoporre il minore ad un ulteriore impegnativo trasferimento a seguito del padre, ne era esigibile che il padre rinunciasse all'assistenza della propria genitrice. In altri termini l'allontanamento temporaneo era doveroso e giustificato in assenza di elementi specifici comprovanti una diversa intenzionalità, mentre non era possibile attribuire ad esso il significato di un sostanziale disinteresse per le esigenze aziendali, tale da integrare una grave violazione dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto di lavoro ed idonea a legittimare il recesso per giusta causa del datore di lavoro.
La Corte concludeva che il fatto contestato non sussistesse sul piano del disvalore sociale e della intrinseca antigiuridicità, perché privo di rilevanza giuridica, non antigiuridico ed inidoneo a incidere sul rapporto fiduciario ed a produrre effetti sul piano disciplinare.
Avverso tale sentenza la società datrice di lavoro ha proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo condivisibili le conclusioni dei giudici di merito secondo cui, in considerazione dell'età del bambino, della gravità della malattia della madre del lavoratore, del fatto che il bambino fosse stato affidato alla madre, della circostanza che il lavoratore non avesse espletato attività incompatibili sul piano del lavoro o di altri apprezzabili valori, non poteva ritenersi sussistente l'abuso del permesso.
A venire in rilievo, nel caso di specie, era l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà familiare rilevanti sul piano costituzionale; dunque, non poteva ritenersi contrario allo spirito della disciplina legale che il congedo familiare fosse stato fruito in una situazione di fatto, particolare ed urgente, allo scopo di assicurare, per un periodo contenuto ed in via di eccezione, il contemperamento di tutti i diversi valori compresenti nella concreta vicenda; fermo restando che l'obiettivo principale dell'assistenza al minore era stato sempre e comunque oggettivamente assicurato pure in ambito familiare.
Il Collegio ha, altresì, evidenziato che la figura “dell’abuso del permesso", che conduce alla giusta causa, implica sul piano soggettivo l'elemento intenzionale ed essa non può esistere quando la finalità della condotta sia stata, come accertato nella fattispecie in esame, quella di obbedire ad altri valori impellenti e non di pregiudicare interessi altrui. Non vi era, invero, alcun automatismo tra la mancata prestazione dell'assistenza al minore e la figura dell'abuso, essendo pure necessario valutare, oltre alla sua oggettiva durata, anche la motivazione per cui essa non era avvenuta.
Tanto premesso, i giudici di legittimità hanno concluso, riconoscendo che il "fatto" disciplinare contestato non esistesse né sul piano oggettivo e tanto meno su quello soggettivo, non avendo voluto il lavoratore commettere alcun abuso ossia distorcere per finalità vietate l'uso del congedo accordatogli dall'ordinamento.
di Chiara Ranaudo
Fonte normativa