venerdì, 28 marzo 2025 | 11:26

Collegato lavoro: prime indicazioni ministeriali

Il Ministero del lavoro illustra i principali interventi attuati con la L 13 dicembre 2024, n. 203, recante "Disposizioni in materia di lavoro" e fornisce le prime indicazioni operative (MLPS - circolare 27 marzo 2025 n. 6)

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Collegato lavoro: prime indicazioni ministeriali

Il Ministero del lavoro illustra i principali interventi attuati con la L 13 dicembre 2024, n. 203, recante "Disposizioni in materia di lavoro" e fornisce le prime indicazioni operative (MLPS - circolare 27 marzo 2025 n. 6)

Somministrazione di lavoro


Con il comma 1, lettera a, numero 1), l'articolo 10 interviene sull'articolo 31, comma 1, del DLgs 15 giugno 2015, n. 81, sopprimendone il quinto ed il sesto periodo. Con la modifica in esame si è inteso eliminare la disciplina transitoriamente in vigore fino al 30 giugno 2025, che consentiva agli utilizzatori di superare il limite complessivo di 24 mesi, anche non continuativi, per le missioni a tempo determinato di un medesimo lavoratore somministrato, laddove l'agenzia di somministrazione abbia comunicato all'utilizzatore di aver assunto detto lavoratore a tempo indeterminato.

Soppressa la disciplina transitoria, la norma di cui all'articolo 31, comma 1, del DLgs n. 81/2015 dispone ora, in caso di sforamento del limite temporale di 24 mesi, la Costituzione in capo all'utilizzatore di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato.

Per i contratti di somministrazione stipulati tra agenzia e utilizzatore a decorrere dal 12 gennaio 2025, data di entrata in vigore della L n. 203/2024, il computo dei 24 mesi di lavoro dei lavoratori somministrati, deve tenere conto di tutti i periodi di missione a tempo determinato intercorsi tra le parti successivamente alla data considerata. Pertanto, ai fini del calcolo del suddetto periodo di 24 mesi, si conteggeranno solo i periodi di missione a termine che il lavoratore abbia effettuato per le missioni avviate successivamente al 12 gennaio 2025, data di entrata in vigore della modifica normativa, senza computare le missioni già svolte in vigenza della precedente disciplina.

Ad esempio, nell'ipotesi di un lavoratore assunto a tempo indeterminato dall'agenzia di somministrazione e inviato presso l'utilizzatore in una missione a termine per un periodo di 30 mesi, cessato prima del 12 gennaio 2025, tale periodo non viene calcolato per il raggiungimento del limite dei 24 mesi. Pertanto, il lavoratore potrà essere inviato in una o più missioni a termine il cui inizio è successivo a detta data, entro il limite massimo di 24 mesi.

Le missioni in corso alla data di entrata in vigore della L n. 203/2024, svolte in ragione di contratti tra agenzia e utilizzatore stipulati antecedentemente al 12 gennaio 2025, potranno giungere alla naturale scadenza, fino alla data del 30 giugno 2025, senza che l'utilizzatore incorra nella sanzione della trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro con il lavoratore somministrato. Tuttavia, in quest'ultima ipotesi i periodi di missione maturati successivamente alla data del 12 gennaio dovranno essere scomputati dal limite dei complessivi 24 mesi.

Il comma 1, lettera a), numero 2) dell'articolo 10 in esame introduce all'articolo 31, comma 2 del DLgs n. 81/2015 due ulteriori categorie di lavoratori escluse dal limite quantitativo del 30% di lavoratori a termine e di lavoratori somministrati a tempo determinato rispetto al numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l'utilizzatore e che, quindi, sono utilizzabili in somministrazione a tempo determinato anche in sovrannumero.

In primo luogo, la modifica normativa opera un riallineamento tra il citato articolo 31, comma 2, e l'articolo 23, comma 2, in materia di lavoro a tempo determinato laddove stabilisce che non rientrano in detti limiti le ipotesi già escluse dai limiti quantitativi stabiliti per le assunzioni con contratto di lavoro a tempo determinato. Si tratta, in particolare, dei contratti conclusi:

- in fase di avvio di nuove attività;

- da start- up innovative;

- per lo svolgimento di attività stagionali;

- per lo svolgimento di specifici programmi o spettacoli;

- per la sostituzione di lavoratori assenti;

- con lavoratori over 50.

Inoltre, il secondo periodo della medesima lettera a) dell'articolo 10, comma 1, consente all'utilizzatore di non conteggiare entro la percentuale in esame anche i lavoratori inviati in missione a tempo determinato, se assunti dal somministratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Il comma 1, lettera b), dell'articolo 10 modifica l'articolo 34, comma 2 del DLgs n. 81/2015, al fine di incentivare le opportunità di lavoro per i lavoratori che versano in situazioni di particolare debolezza. La norma stabilisce che, in caso di assunzioni a tempo determinato di tali categorie di lavoratori effettuate dalle agenzie per il lavoro, non trova applicazione l'obbligo di indicazione delle causali stabilite per le assunzioni con contratto a tempo determinato di durata superiore a 12 mesi. La disposizione, in particolare, consente alle agenzie di somministrazione di inviare in somministrazione a tempo determinato senza l'apposizione di causale:

- i soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali;

- i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati.

Attività stagionali

L'articolo 11 della L 13 dicembre 2024, n. 203 fornisce l'interpretazione autentica dell'articolo 21, comma 2, del DLgs 15 giugno 2015, n. 81, in materia di attività stagionali chiarendo che "rientrano nelle attività stagionali, oltre a quelle indicate dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, le attività organizzate per fare fronte a intensificazioni dell'attività lavorativa in determinati periodi dell'anno, nonchè a esigenze tecnico produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall'impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro, ivi compresi quelli già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge, stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nella categoria, ai sensi dell'articolo 51 del citato decreto legislativo n. 81 del 2015".

Rientra nella definizione di lavoro stagionale l'attività lavorativa svolta in un determinato periodo dell'anno e priva del carattere della continuità, sussumibile nella più ampia categoria del lavoro a tempo determinato, regolato dal citato DLgs n. 81 del 2015 (articoli 19-29), dal quale si distingue per alcune eccezioni, in un'ottica di riduzione delle relative rigidità organizzative e gestionali.

In merito alle tipologie di attività di lavoro stagionale, la norma chiarisce che le stesse sono riconducibili - oltre a quelle indicate dal DPR 7 ottobre 1963, n. 1525 - anche a quelle previste dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

La norma di interpretazione autentica si è resa necessaria in quanto la formulazione letterale dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 81/2015 non risultava sufficientemente chiara circa la possibilità o meno per i contratti collettivi di prevedere altre ipotesi di attività stagionali oltre a quelle contenute nel D.P.R. n. 1525 del 1963 o nel decreto ministeriale che avrebbe dovuto sostituirlo.

Come norma di interpretazione autentica, inoltre, l'articolo 11 ha natura retroattiva e trova, quindi, applicazione anche per i contratti collettivi firmati prima della sua entrata in vigore, come, peraltro, espressamente chiarito dallo stesso legislatore.

In base alla disposizione in esame, peraltro, sono considerate stagionali non solo le tradizionali attività legate a cicli stagionali ben definiti, ma anche quelle indispensabili a far fronte ad intensificazioni produttive in determinati periodi dell'anno o a soddisfare esigenze tecnico-produttive collegate a specifici cicli dei settori produttivi o dei mercati serviti dall'impresa. Spetterà alla contrattazione collettiva chiarire specificamente - non limitandosi ad un richiamo formale e generico della nuova disposizione - in che modo, in concreto, quelle caratteristiche si riscontrino nelle singole attività definite come stagionali, al fine di superare eventuali questioni di conformità rispetto al diritto europeo.

Durata del periodo di prova

Le nuove disposizioni introdotte stabiliscono che, "Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni nè superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi".

La norma trova applicazione per i contratti di lavoro instaurati a far data dall'entrata in vigore della legge in esame, quindi dal 12 gennaio 2025. Il legislatore, per esigenze di certezza, ha provveduto a quantificare il periodo di prova fissandone, in linea generale, la durata in un giorno di effettiva prestazione ogni quindici di calendario a partire dal giorno di inizio del rapporto, ferma restando la possibilità per la contrattazione collettiva di introdurre disposizioni più favorevoli.

Viene previsto, inoltre, un limite minimo per la prova pari a 2 giorni di effettiva prestazione e dei limiti massimi, differenziati, per i rapporti a termine di durata non superiore a 6 mesi e per quelli compresi fra i 6 e i 12 mesi, pari rispettivamente a 15 e 30 giorni di lavoro effettivo.

I limiti massimi non possono essere derogati neppure dalla contrattazione collettiva, atteso che l'autonomia contrattuale non può - per principio generale - introdurre una disciplina peggiorativa rispetto a quella legale. Nel caso di contratti di lavoro a termine di durata superiore a dodici mesi, fatte salve le più favorevoli previsioni della contrattazione collettiva, il periodo di prova sarà calcolato moltiplicando un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario, anche oltre la durata massima di 30 giorni, stabilita per contratti a termine di durata inferiore a 12 mesi.

Il legislatore, nell'ammettere eventuali previsioni più favorevoli contenute nei contratti collettivi, non individua esplicitamente il livello della contrattazione richiesto. In proposito, si ritiene che si debba aver riguardo al contratto collettivo applicato dal datore di lavoro.

Per quanto riguarda i criteri in base ai quali valutare quali disposizioni contrattuali siano più favorevoli rispetto alla previsione normativa, occorre considerare che generalmente - in applicazione del principio del favor praestatoris, per il quale in ambito lavoristico è da preferire l'interpretazione che accorda una maggiore tutela al lavoratore - viene considerata più favorevole per il lavoratore una minore estensione del periodo di prova, a causa della precarietà che lo stesso comporta per il lavoratore.


Termine per le comunicazioni obbligatorie in materia di lavoro agile

Viene fissato a 5 giorni il termine per la comunicazione dell'avvio e della cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile e delle eventuali modifiche della durata originariamente prevista, secondo le modalità individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Ai fini della sua regolarità amministrativa e della prova, l'accordo per il lavoro agile deve essere stipulato per iscritto; tuttavia, il termine per la comunicazione decorre non dalla data del suddetto accordo, bensì da quello - che potrebbe essere differente - dell'effettivo inizio della prestazione di lavoro in modalità agile.

Così, ad esempio, ove un accordo fosse stipulato in data 15 gennaio 2025 e prevedesse l'avvio del lavoro agile dal 1° febbraio e la sua conclusione al 30 giugno 2025, la comunicazione dovrà essere effettuata entro il 6 febbraio 2025 (e non entro il 20 gennaio).

Nel caso di modifica della durata originariamente comunicata, per effetto di una proroga dell'accordo - che deve intervenire prima della scadenza del termine inizialmente concordato e comunicato (nell'esempio, quindi, prima del 30 giugno 2025) - il datore dovrà provvedere alla comunicazione di tale modifica entro i 5 giorni successivi alla proroga stessa (nel nostro esempio, ove la proroga fosse stipulata il 28 giugno, la comunicazione andrebbe effettuata entro il 3 luglio successivo).

Allo stesso modo, nel caso di cessazione anticipata, la comunicazione deve essere inviata entro i cinque giorni successivi alla nuova data di conclusione. Per tornare all'esempio: se, per un nuovo accordo o per decisione unilaterale di una delle parti, la prestazione non fosse più resa in modalità agile a partire dal 15 maggio - nonostante il termine inizialmente concordato fino al 30 giugno - entro il 20 maggio va comunicata la cessazione anticipata.

Il nuovo termine di 5 giorni fissato per la comunicazione obbligatoria di lavoro agile opera, a partire dal 12 gennaio 2025, per tutti i datori di lavoro privato.

Per quanto attiene alle pubbliche amministrazioni, invece nulla è variato rispetto al regime previgente, anche tenuto conto del fatto che la disciplina in materia di lavoro agile si applica al rapporto di lavoro pubblico solo in quanto compatibile e che per le PA il termine per le comunicazioni obbligatorie è diversamente stabilito dall'articolo 9-bis del DL n. 510/1996. Pertanto, i datori di lavoro pubblici potranno continuare ad effettuare le suddette comunicazioni entro il giorno 20 del mese successivo all'inizio della prestazione in modalità agile.

Risoluzione del rapporto di lavoro

L'articolo 19 della L 13 dicembre 2024, n. 203 ha modificato l'articolo 26 del DLgs 14 settembre 2015, n. 151 in materia di "Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale", introducendo il comma 7-bis, il quale stabilisce che: "In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l'impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza".

Tale disposizione ha riconosciuto espressamente la possibilità che il rapporto di lavoro si concluda per effetto delle cosiddette dimissioni per fatti concludenti (o dimissioni implicite), consentendo al datore di lavoro di ricondurre un effetto risolutivo al comportamento del lavoratore consistente in una assenza ingiustificata, prolungata per un certo periodo di tempo. L'effetto risolutivo non discende automaticamente dall'assenza ingiustificata, ma si verifica solo nel caso in cui il datore di lavoro decida di prenderne atto, valorizzando la presunta volontà dismissiva del rapporto da parte del lavoratore e facendone derivare la conseguenza prevista dalla norma.

Per quanto concerne la durata dell'assenza che può determinare la configurazione delle dimissioni per fatti concludenti, l'articolo 19 prevede che la stessa, in mancanza di specifica previsione nel CCNL applicato al rapporto di lavoro, debba essere superiore a 15 giorni. I giorni di assenza, in mancanza di ulteriori specificazioni da parte della norma, possono intendersi come giorni di calendario, ove non diversamente disposto dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.

Quello individuato dalla legge costituisce il termine legale minimo perchè il datore - a partire, quindi, dal sedicesimo giorno di assenza - possa darne specifica comunicazione all'Ispettorato territoriale del lavoro. Nulla vieta, dunque, che detta comunicazione all'Ispettorato possa essere formalizzata anche in un momento successivo.

La suddetta comunicazione opera anche quale dies a quo per il decorso del termine di 5 giorni previsto per effettuare la relativa comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto di lavoro tramite il modello UNILAV.

Nel caso in cui il CCNL applicato preveda, invece, un termine diverso da quello contemplato dalla norma in esame, lo stesso troverà senz'altro applicazione ove sia superiore a quello legale, in ossequio al già richiamato principio generale per cui l'autonomia contrattuale può derogare solo in melius le disposizioni di legge. Se, viceversa, sia previsto un termine inferiore, per il medesimo principio, dovrà farsi riferimento al termine legale.

Infine, diversi contratti collettivi riconducono ad un'assenza ingiustificata protratta nel tempo - di durata variabile, anche inferiore ai 15 giorni previsti dall'articolo 19 in esame - conseguenze di tipo disciplinare, consentendo al datore di procedere al licenziamento, per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. In tali ipotesi, viene quindi attivata la procedura di garanzia prevista dall'articolo 7 dello Statuto dei lavoratori (L 20 maggio 1970, n. 300).

In base all'articolo 19, il datore di lavoro - laddove intenda far valere l'assenza ingiustificata del lavoratore, protrattasi oltre i termini sopra indicati, ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni per fatti concludenti - deve comunicarla alla sede territoriale dell'Ispettorato, da individuare in base al luogo di svolgimento del rapporto di lavoro. La comunicazione dell'assenza ingiustificata è, quindi, uno specifico onere che l'ordinamento pone in capo al datore che intenda porre fine al rapporto di lavoro rilevando il ricorrere di questo particolare tipo di dimissioni.

In ogni caso, la procedura telematica di cessazione a seguito di dimissioni per fatti concludenti, avviata dal datore di lavoro, viene resa inefficace se lo stesso riceva successivamente la notifica da parte del sistema informatico del Ministero dell'avvenuta presentazione delle dimissioni da parte del lavoratore. Pertanto, anche la presentazione di dimissioni per giusta causa tramite il sistema telematico da parte del lavoratore, prevale sulla procedura di cessazione per fatti concludenti avviata dal datore di lavoro.

Per permettere all'Ispettorato di effettuare le verifiche circa la veridicità della comunicazione datoriale di assenza ingiustificata, il datore dovrà indicare tutti i contatti e i recapiti forniti dal lavoratore e trasmettere la comunicazione inviata all'Ispettorato territoriale, anche al lavoratore, per consentirgli di esercitare in via effettiva il diritto di difesa.

La cessazione del rapporto avrà effetti dalla data riportata nel modulo UNILAV, che non potrà comunque essere antecedente alla data di comunicazione dell'assenza del lavoratore all'Ispettorato territoriale del lavoro, fermo restando che il datore di lavoro non è tenuto, per il periodo di assenza ingiustificata del lavoratore, al versamento della retribuzione e dei relativi contributi.

La norma prevede espressamente che l'effetto risolutivo del rapporto potrà essere evitato laddove il lavoratore dimostri "l'impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza". Grava, pertanto, sul lavoratore l'onere di provare l'impossibilità di comunicare i motivi dell'assenza al datore di lavoro (ad esempio, perchè ricoverato in ospedale o per causa di forza maggiore) o la circostanza di aver comunque provveduto alla comunicazione.

Qualora il lavoratore dia effettivamente prova di non essere stato in grado di comunicare i motivi dell'assenza, così come nell'ipotesi in cui l'Ispettorato accerti autonomamente la non veridicità della comunicazione del datore di lavoro, non può trovare applicazione l'effetto risolutivo del rapporto di lavoro e la comunicazione di cessazione resterà priva di effetti. Sul punto, si segnala peraltro che il datore di lavoro - a seguito degli accertamenti ispettivi - potrebbe essere ritenuto responsabile, anche penalmente, per falsità delle comunicazioni rese all'Ispettorato territoriale.

La disposizione in esame non è applicabile nei casi previsti dall'articolo 55 del DLgs n. 151/2001, che prevede la convalida obbligatoria (con effetto sospensivo dell'efficacia) della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e delle dimissioni presentate da:

- la lavoratrice durante il periodo di gravidanza;

- la lavoratrice madre o il lavoratore padre durante i primi 3 anni di vita del bambino o nei primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi 3 anni decorrenti dalle comunicazioni della proposta di incontro con il minore adottando ovvero della comunicazione dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento.

di Francesca Esposito

Fonte normativa

Approfondimento