Entrate: accordo di conciliazione giudiziale e tassazione internazionale
Forniti chiarimenti sulla classificazione reddituale delle somme corrisposte a seguito di un accordo di conciliazione giudiziale in caso di licenziamento e la corretta individuazione dello Stato avente potestà impositiva, in presenza di un contribuente fiscalmente residente all’estero (Agenzia delle Entrate - risposta 14 aprile 2025, n. 98)
Entrate: accordo di conciliazione giudiziale e tassazione internazionale
Forniti chiarimenti sulla classificazione reddituale delle somme corrisposte a seguito di un accordo di conciliazione giudiziale in caso di licenziamento e la corretta individuazione dello Stato avente potestà impositiva, in presenza di un contribuente fiscalmente residente all’estero (Agenzia delle Entrate - risposta 14 aprile 2025, n. 98)
Il contribuente, cittadino italiano, risulta fiscalmente residente in Spagna nell’anno d’imposta "x", dopo un periodo di lunga permanenza all’estero per motivi di lavoro (Federazione Russa, Cuba, Azerbaijan). L’ex dipendente di una società italiana, in seguito a un licenziamento, ha sottoscritto un accordo di conciliazione giudiziale nel quale l’ex datore di lavoro si è impegnato a corrispondergli due somme: una a titolo meramente conciliativo, l’altra a titolo di transazione generale e novativa.
Il dubbio sollevato è duplice:
- la qualificazione delle somme percepite in sede di conciliazione come reddito da lavoro dipendente;
- la ripartizione della potestà impositiva tra Italia e Spagna.
L’istante ha proposto una lettura in linea con il Modello OCSE e le precedenti risposte dell’Agenzia (nn. 343 e n. 344 del 23 giugno 2023 e n. 460 del 2020), ritenendo che:
- le somme erogate in sede conciliativa siano riconducibili al lavoro subordinato e non a trattamenti di fine rapporto,
- la tassazione spetti esclusivamente alla Spagna, in quanto Paese di residenza e di svolgimento dell’attività lavorativa negli ultimi 11 anni.
Il parere dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia accoglie parzialmente le considerazioni del contribuente, confermando anzitutto che le somme derivanti da conciliazione sono da qualificarsi come redditi da lavoro dipendente, secondo i principi di onnicomprensività degli artt. 49 e 51 del TUIR e quanto stabilito nella Circolare del Ministero delle Finanze 23 dicembre 1997, n. 326.
Inoltre, viene richiamata la disciplina della tassazione separata (art. 17, co. 1, lett. a) del TUIR) applicabile a somme una tantum percepite in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, incluse quelle frutto di transazioni o conciliazioni giudiziarie.
Tuttavia, sul piano internazionale, l’Agenzia richiama il Commentario OCSE e l’art. 15 della Convenzione tra Italia e Spagna contro le doppie imposizioni, ribadendo che i redditi da lavoro sono imponibili esclusivamente nello Stato di residenza, salvo che l’attività non sia stata svolta nell’altro Stato contraente, nel qual caso si applica l’imposizione concorrente.
La soluzione: un criterio di ripartizione temporale
Nel caso di specie, l’Agenzia propone una ripartizione proporzionale della potestà impositiva in funzione dell’attività svolta:
- la quota parte riferita al periodo lavorativo in Italia (anni x-17 a x-12, durante i quali il contribuente era residente e lavorava in Italia) sarà tassabile esclusivamente in Italia;
- la quota parte relativa all’attività svolta all’estero, anche in assenza di Convenzione (es. Cuba), è comunque soggetta a tassazione in Italia in base alla normativa interna (art. 23, co. 2, lett. a), del TUIR), poiché l’erogante è un soggetto residente.
In altri termini, il reddito viene ricondotto alla sua origine storica, ossia al rapporto di lavoro cessato, e viene tassato in base alla ripartizione dell’attività lavorativa negli anni, indipendentemente dalla qualificazione formale attribuita in sede di conciliazione.
di Anna Russo
Fonte normativa