venerdì, 16 maggio 2025 | 10:55

Ritorsivi i licenziamenti irrogati in seguito a forme di protesta collettiva

Illegittimo il licenziamento irrogato ai lavoratori che abbiano posto in essere un’ azione collettiva di inosservanza del turno di lavoro di scorrimento disposto dal datore di lavoro, allo scopo di contestare la volontà di non corrispondere più la relativa indennità (Cassazione - sentenza 11 aprile 2025 n. 9526, sez. lav.)

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Ritorsivi i licenziamenti irrogati in seguito a forme di protesta collettiva

Illegittimo il licenziamento irrogato ai lavoratori che abbiano posto in essere un’ azione collettiva di inosservanza del turno di lavoro di scorrimento disposto dal datore di lavoro, allo scopo di contestare la volontà di non corrispondere più la relativa indennità (Cassazione - sentenza 11 aprile 2025 n. 9526, sez. lav.)

Il caso

La Corte di appello di Napoli dichiarava illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore dalla società datrice di lavoro a fronte del mancato accertamento della grave insubordinazione contestatagli disciplinarmente, con conseguente applicazione dell'art. 18, co. 4, L n. 300 del 1970 in considerazione della sussunzione della fattispecie in una ipotesi di sanzione conservativa prevista dal CCNL applicato in azienda.
Nel caso di specie era risultato che il lavoratore (in qualità di sindacalista) e altri colleghi svolgenti la stessa mansione di operai carrellisti, avevano svolto alcune prestazioni di lavoro secondo i turni orari previsti dal CCNL e non secondo i turni a scorrimento predisposti dai datore di lavoro sulla base dell'accordo di secondo livello stipulato con le organizzazioni sindacali, per protestare contro l'intenzione aziendale di mantenere i turni orari previsti dall’accordo aziendale senza erogare la relativa indennità.
La Corte, da un lato, escludeva che il suddetto comportamento integrasse l'esercizio del diritto di sciopero, mancando una programmazione concordata e coordinata dell'astensione, che si era, piuttosto, risolta in una generica e spontanea protesta di un gruppo di lavoratori, e riteneva non ricorresse un licenziamento discriminatorio o ritorsivo; dall’altro, escludeva che il lavoratore avesse posto in essere una grave insubordinazione e negava, in ogni caso, la ricorrenza di una giusta causa di licenziamento, sia a fronte della peculiarità dello svolgimento dei fatti (posto che la prestazione eseguita su turni diversi da quelli indicati dal datore di lavoro era stata, comunque, dallo stesso accettata e retribuita) sia in considerazione della mancanza dell'elemento soggettivo della insubordinazione (visto l'inquadramento nella vicenda conflittuale).
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso e il lavoratore ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, con il quale ha sostenuto la piena legittimità della condotta collettiva messa in atto dai lavoratori, che la Corte di appello riteneva, invece, costituire illecito disciplinare sia pure lieve. 

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso del lavoratore e giudicato non condivisibili le conclusioni della Corte di appello che, dopo aver escluso la ricorrenza di una fattispecie di sciopero (per mancanza della proclamazione da parte del sindacato e per la mancata astensione dalla condotta lavorativa), aveva sostenuto che la condotta collettiva dei lavoratori si ponesse comunque al di fuori dei canali di lotta ed anche di autotutela che l'ordinamento garantisce ed offre e non potesse considerarsi lecita. In tal modo i giudici di appello, come evidenziato dal Collegio, non avevano in realtà valorizzato sul piano oggettivo la natura collettiva della condotta in concreto realizzata e, cadendo in una intrinseca contraddizione, avevano riportato l'esercizio dell'azione di protesta collettiva sul terreno della condotta individuale perseguibile disciplinarmente, alla stregua di un inadempimento contrattuale.
A riguardo i giudici di legittimità hanno chiarito che, sebbene non rientrasse nella nozione di diritto di sciopero, doveva comunque riconoscersi, al contrario di quanto sostenuto dalla Corte territoriale, che la forma di autotutela collettiva messa in atto dai lavoratori non potesse costituire un illecito civile e che fossero illeciti i licenziamenti, intimati per finalità antisindacali.
Difatti, nel caso di specie, l'azione collettiva messa in atto dai lavoratori si era dispiegata nell'ambito del fisiologico conflitto collettivo, attesa la pretesa della società di non rispettare la contrattazione collettiva pur formalmente e sostanzialmente in vigore, alla quale era seguita la protesta collettiva dei dipendenti. Tale azione di protesta poteva essere effettuata dai lavoratori collettivamente per finalità sindacali (ossia di miglioramento delle condizioni di lavoro anche sul piano retributivo) senza dover essere necessariamente promossa dal sindacato ed esprimersi nella forma dello sciopero, dal momento che la Costituzione e le fonti sovranazionali tutelano non solo lo sciopero ma anche l'azione collettiva e l'attività sindacale in cui essa si estrinseca.
Da tanto discende che l'esercizio di un'azione collettiva protetta dall'ordinamento, che senza trasmodare in atti violenti o in danneggiamenti, persegua la finalità di ottenere migliori condizioni di lavoro o il rispetto dei contratti collettivi, come nel caso in esame, non può sfociare nei licenziamenti per giusta causa di massa irrogati ai partecipanti all'azione di autotutela perché gli stessi licenziamenti si rivelano discriminatori e ritorsivi e, quindi, illeciti e nulli, essendo vietati ai sensi dell'art. 4, della legge 604/1966. In altre parole, in presenza di una situazione conflittuale implicante la tutela di un interesse collettivo, le forme di lotta organizzata (come l'astensione dal turno di lavoro predisposto dal datore di lavoro), decise ed attuate collettivamente sono pur sempre espressione d'un diritto costituzionalmente garantito e, quindi, non consentono l'irrogazione di sanzioni disciplinari, né espulsive, né conservative.

di Chiara Ranaudo

Fonte normativa