giovedì, 25 maggio 2023 | 10:27

Condannato per violenza sessuale su una minorenne: licenziato il lavoratore

Legittimo il licenziamento intimato ad un dipendente condannato in via definitiva per il reato di violenza sessuale commesso ai danni di una minorenne in discoteca; irrilevante il contesto in cui la condotta era stata posta in essere e il tempo trascorso dal fatto (Corte di Cassazione, Ordinanza 23 maggio 2023, n. 14114).

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Condannato per violenza sessuale su una minorenne: licenziato il lavoratore

Legittimo il licenziamento intimato ad un dipendente condannato in via definitiva per il reato di violenza sessuale commesso ai danni di una minorenne in discoteca; irrilevante il contesto in cui la condotta era stata posta in essere e il tempo trascorso dal fatto (Corte di Cassazione, Ordinanza 23 maggio 2023, n. 14114).

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Il caso

La Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato dalla società datrice di lavoro ad un proprio dipendente e ne aveva disposto la reintegrazione nel posto di lavoro, ritenendo insussistente il fatto allo stesso contestato.
Il giudice del reclamo, in particolare, evidenziava che la condotta contestata al lavoratore, una condanna penale per violenza sessuale perpetrata su una minore in una discoteca, non era connotata da particolare gravità, tenuto conto del tempo trascorso da quel fatto e della mancanza di altre violazioni di legge; tali circostanze, ad avviso della Corte, deponevano nel senso che si potesse prevedere che il lavoratore non si sarebbe reso nuovamente responsabile di azioni analoghe idonee a ledere il rapporto fiduciario.
Il fatto addebitato, risalente ad oltre tredici anni prima e rimasto isolato, si era realizzato al di fuori dell'attività lavorativa e, dunque, si poteva ritenere che non potesse avere rilievo nello svolgimento di mansioni a contatto con la clientela.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datrice di lavoro, lamentando, tra i motivi, la violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. e delle disposizioni del c.c.n.I. di riferimento.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, rilevando che la Corte di merito era incorsa nella violazione delle norme denunciate ed in particolare dell'art. 2119 c.c. nell'affermare che il reato accertato con sentenza passata in giudicato, per il contesto in cui il fatto si era svolto e per il tempo trascorso, non fosse così grave da giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro.
Ad avviso del Collegio i giudici di merito, in particolare, nell'effettuare il giudizio di proporzionalità della condotta e nel valutarne la gravità ai fini della sussistenza o meno di una giusta causa di recesso, avevano irragionevolmente ritenuto di non poter sussumere il fatto pacificamente accertato nella sua materialità nella norma generale, con una valutazione non coerente rispetto agli standard, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
Il comportamento per il quale il lavoratore era incorso in una condanna in sede penale, per quanto risalente nel tempo, rivestiva, senza dubbio, un carattere di gravità non suscettibile di attenuazione solo per effetto del tempo trascorso, dato del tutto neutro. Né tale condotta poteva esser considerata meno grave, secondo il diffuso comune sentire, sol perché si era svolta in un luogo deputato al divertimento.
Una violenza sessuale ai danni di una minore di età, in qualsiasi contesto sia commessa, è una condotta, per quanto di per sé estranea al rapporto di lavoro, idonea a ledere il vincolo fiduciario a prescindere dal contesto in cui la stessa è stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, a maggior ragione qualora l'attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto col pubblico.
Peraltro, la Corte di merito aveva trascurato di considerare che, secondo quanto previsto dal CCNL applicabile, la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso trovava applicazione nel caso di "condanna passata in giudicato per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, quando i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario".
In base a tale disposizione collettiva, richiamata nella lettera di licenziamento, il giudice avrebbe dovuto a valutare la gravità del fatto costituente reato per come accertato e valutato in sede penale e con efficacia di giudicato, senza che a tal fine rilevino altri elementi di contorno esterni, quale ad esempio il tempo trascorso e l'unicità del fatto.

di Chiara Ranaudo

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